di Daniele Billitteri
U russu
I siciliani la chiamano “nciuria”, il popolo dei social lo chiamerebbe “nick name”. In italiano sarebbe soprannome.
Antonello Cracolici era rosso di capelli (quando li aveva tutti…) e questo quando sei bambino fa scattare l’infame “legge della diversità”. E ti devi accollare che sei “rosso malpelo” oppure la cantilena: russu maligno, acchiana supra u lignu, u lignu si rumpiu e u russu muriu”. Le contromisure di solito sono due: o ci levi la sicura alle timpulate, oppure diventi comunista perché lì “u russu” diventa un complimento.
Antonello è diventato comunista e pure quando il colore rosso ha lasciato il suo spazio storico a colori più cangianti, lui è restato fedele a quella tonalità come si resta fedeli ad un tramonto che promette un’alba di progresso. Dopo tutto, il Partito Comunista Italiano era quello di Giancarlo Pajetta che era “Nullo” come nome di battaglia dei partigiani, ma per i compagni delle lotte del dopoguerra era “il ragazzo rosso”. Per Cracolici mi pare una splendida compagnia. Perché i capelli rossi della testa cadono, quelli del cuore no.
Silenzio, parla Craco
Era la pubblicità di una pasta che per la sua bontà imponeva, diciamo così, il silenzio alle altre. Ma quando succede a una persona, possono succedere diverse cose. Dipende da chi ordina il silenzio. Se lo fanno gli amici di chi parla, spesso è solo prosopopea. Se invece l’indicazione viene dagli avversari allora vuol dire chi parla il rispetto se lo è meritato con l’onestà (compresa e non ultima quella intellettuale), con la correttezza, con la competenza, con la conoscenza di uomini, cose e norme. È quello che succede quando all’Assemblea Regionale Siciliana prende la parola Antonello Cracolici. Uno che sa le cose. Allora in aula, anche se il deputato di Vallefunnuta sta chiacchierando con la moglie al cellulare, ecco che chiude in fretta: “Ti saluto cara, devo chiudere: parla Cracolici”. E le mogli capiscono.